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Il successo di Masterchef

Tutti possono essere cuochi

Tutto è partito da qui. Il mondo ha scoperto la cucina grazie a Masterchef, dobbiamo dircelo chiaramente, così come ha scoperto il cake design grazie a Buddy (il boss delle torte). In cinque edizioni (la sesta è ora in onda), cosa abbiamo imparato dalla tv?

Le storie prima dei piatti

L'edizione italiana del talent show culinario più famoso al mondo non nasconde, e, anzi, considera un pregio, la sempre più presente componente empatica del format: tanto spazio alle storie dei concorrenti, alle rivalità, alle amicizie, ai giudici, a discapito dell'impronta didattica del programma. Non si possono biasimare gli autori, che, così facendo, in sei edizioni hanno triplicato gli ascolti in prima serata dello show, forti anche del fatto che esistono già decine di altri programmi televisivi dediti al mero insegnamento di tecniche culinarie. Ma la vera forza di Masterchef, ormai non più replicabile da talent rivali, come il recente Top Chef, è stata l'aver portato per primo, in Italia come in tutti i Paesi in cui è trasmesso, l'idea che chiunque possa diventare un grande cuoco, anche, e soprattutto, chi per tutta la vita è rimasto in casa a cucinare per la propria famiglia.

Il merito del successo

Nel Paese del buon cibo non poteva di certo passare inosservato un fenomeno mediatico così imponente. Tutti si sono riscoperti cuochi, impegnati nelle proprie piccole cucine a replicare i piatti presentati nel programma agli chef stellati, e magari mettersi alla prova con simil-mistery box fatte in casa, alla ricerca di consenso tra i propri amici o parenti. E gran parte del successo del format lo si deve certamente ai giudici, scelti accuratamente dagli autori e su cui è stato cucito un perfetto abito: il cattivo, l'esigente, il compassionevole, l'autentico. Così facendo, il telespettatore non ha avuto modo di impersonarsi soltanto nel concorrente, ma anche, e soprattutto, nel giudice, come già avveniva per format rodati come X Factor e Amici o in ambito calcistico. Essenziali per la riuscita del programma le "frasi cult" costruite attorno ai pregi (e difetti) dei protagonisti dello show, l'italiano storpiato del povero Bastianich (il "vuoi che muoro?" è ormai storia), le urla di Cracco ("velooci!"), le pacche di Cannavacciuolo, i consigli di Barbieri, oltre ovviamente ai concorrenti come l'indimenticabile Rachida o il poetico Alberto.

Da parte di Masterchef

Masterchef ci ha insegnato che la cucina è per tutti, ma non tutti sono per la cucina; che il buon cibo è essenziale nella nostra vita da buoni italiani, e forse abbiamo sbagliato ad accontentarci di toast e patatine ogni sera; che avremo sempre una possibilità di riscattarci nella nostra vita, e una di queste è la cucina; che l'amore è anche in una cena, e che l'amore è anche per una cena; che c'è sempre tanto da imparare sui libri, in cucina, davanti ad una padella o con un coltello in mano; che la ristorazione è un mondo non ancora destinato a morire; e che l'importante non è mangiare, ma mangiare bene. Con la sesta stagione ora in onda, e la settima già in preparazione, siamo destinati a convivere ancora qualche anno con il fenomeno culinario del momento, con la speranza di trarne qualche altra bella storia, come quella di Alberico, contestante nella prima stagione nel 2011 e ora executive chef negli Stati Uniti, dove poche settimane fa ha cucinato per le star del piccolo schermo ai Golden Globes.

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